Capitolo 2: L'Incontro con il Cartografo

Capitolo 2: L'Incontro con il Cartografo

Il pomeriggio successivo, la nostra ricerca di un cartografo ci portò in una baracca che sembrava sul punto di crollare. Entrammo, e un'ondata di aria fredda mi avvolse, proveniente dalle finestre senza vetri. Le assi di legno di betulla, consumate dal tempo e dagli anni, scricchiolavano sinistramente sotto ogni nostro passo. L'odore di muffa e vino stantio mi riempì le narici.

Da un angolo buio della stanza, emerse una figura. Era il cartografo. Un uomo robusto, la barba grigia e incolta, una bottiglia di vino aperta stretta nella mano. Le sue labbra erano macchiate di rosso, e un sorriso un po' storto gli deformava il viso mentre ci invitava ad accomodarci.

"Ah, nuovi volti in questo buco sperduto," borbottò, un fiato pesante di vino. "Cosa cercate? Oro? Donne? O forse... la strada per dimenticare?"

Pensai: Un ubriacone, ma forse un ubriacone utile. La sua noncuranza era un rischio, ma anche una possibile apertura. Non potevamo permetterci di sprecare tempo.

"Dove siamo?" chiesi, la mia voce più roca del solito, tagliando corto. Tebris al mio fianco, in silenzio, teneva la mano stretta sull'elsa del suo pugnale, il suo sguardo diffidente fisso sul cartografo. "Dobbiamo arrivare a Pompei. Senza indugio."

L'uomo rise, un suono basso e gutturale che mi irritò profondamente. "Pompei, eh? Siete ambiziosi, ragazzi. Molto ambiziosi." Si versò altro vino, lasciandone cadere alcune gocce sulla sua barba. "Siete a Catanzaro. Pompei è molto, molto lontana da qui."

Un fulmine mi attraversò. Catanzaro? Eravamo così fuori strada? Un'ondata di frustrazione e rabbia mi montò dentro. Avevamo perso tempo prezioso, giorni interi. Io e Tebris ci alzammo di scatto, uno sguardo perso nei nostri occhi, ma un'intesa silenziosa, forgiata da anni di lotta e sofferenza, ci legò. Sapevamo cosa fare.

"Non c'è tempo per le chiacchiere, né per i rimpianti," sussurrai a Tebris, ma la mia voce era carica di una determinazione ferrea. Lui annuì, il suo viso contratto in una smorfia che conoscevo bene: rabbia, ma anche una risolutezza che eguagliava la mia.