Capitolo 3: La Fuga a Cavallo

Capitolo 3: La Fuga a Cavallo

Uscimmo dalla baracca del cartografo. L'aria fredda mi schiaffeggiò il viso, ma la rabbia che sentivo mi riscaldava più di qualsiasi fuoco. "Stupidi," imprecò Tebris a bassa voce, riferendosi più a noi stessi che al cartografo. "Dovremmo essere più attenti."

"Lo saremo," risposi, il mio tono privo di scuse. "Non c'è tempo da perdere. Sai dove dobbiamo andare."

Ci dirigemmo senza esitazione verso la fattoria di un vecchio di nome Augusti. La conoscevamo, anche se di fama. Non era una fattoria vera e propria, più un rudere che si reggeva per miracolo, circondata da un recinto malconcio di pali scheggiati, alcuni dei quali erano già crollati. Il terreno intorno era battuto e spoglio, con ciuffi d'erba secca che lottavano per sopravvivere. Un odore aspro di letame e polvere mi riempì le narici.

Augusti, il vecchietto con la schiena curva e i vestiti logori, un uomo odiato da tutti nel villaggio per la sua avarizia e il suo temperamento sgradevole, non si vedeva. Forse era dentro, forse era al mercato. Non importava. Era il luogo perfetto per ciò che dovevamo fare. Entrammo senza un suono, i nostri passi attutiti dalla terra secca. Il recinto dei cavalli era lì, davanti a noi. Era una piccola stalla a cielo aperto, protetta solo da un tetto di paglia marcia che pendeva pericolosamente. L'interno era poco più di una pozzanghera di fango e fieno bagnato, ma i cavalli erano lì.

Due manti scuri brillavano sotto il sole del pomeriggio, la pelle lucida, i muscoli tesi sotto il pelo corto. Erano destrieri robusti, non cavalli da guerra forgiati per lo scontro, ma sufficientemente forti per portarci lontano e in fretta. Le loro narici si dilatarono, avvertendo la nostra presenza, ma non opposero resistenza. Erano perfetti.

Afferrai le redini di uno, Tebris dell'altro. I cavalli nitrirono piano, ma li calmammo con gesti rapidi e decisi, frutto di anni passati a contatto con gli animali. Salii in sella, il cuoio freddo sotto le mie mani.

"Pronto, fratello?" chiesi, un'ombra di sorriso per la prima volta da giorni. Tebris mi guardò, il suo sguardo serio. "Nato pronto. E ora, via da questo buco."

Un calcio ai fianchi, e partimmo al galoppo. Il vento mi fischiò nelle orecchie, i capelli mi sferzarono il viso. Dietro di noi, le grida deboli e lontane di Augusti, che doveva averci visti, si perdevano nel rumore assordante degli zoccoli sulla terra battuta. Non ci fermammo. Non potevamo. La strada per Pompei era lunga, e ogni istante era prezioso.